L’Unione Comuni della Bassa Romagna presenta la mostra «fa che sia un racconto»

Le immagini di Lorenzo Tugnoli, unico Premio Pulitzer italiano, in un progetto interdisciplinare per una riflessione individuale e civica sulla narrazione della più recente escalation militare in Israele, Palestina e Libano.

Data: Lunedì, 28 Aprile 2025

mostra "fa che sia un racconto"
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L’Unione Comuni della Bassa Romagna presenta, negli spazi dell’Ex Convento San Francesco di Bagnacavallo, la mostra “fa che sia un racconto”, progetto interdisciplinare fatto di immagini, parole, testimonianze, concepito per svelare le contraddizioni che caratterizzano la narrazione pubblica e mediatica della più recente escalation militare nel Medio Oriente.

La mostra è aperta gratuitamente al pubblico da giovedì 24 aprile a lunedì 2 giugno 2025.

La mostra presenta 40 fotografie di grande formato opera di Lorenzo Tugnoli, fotoreporter, nativo di Lugo, unico premio Pulitzer in Italia nel 2019, e si nutre della ricerca e della curatela di Francesca Recchia, studiosa e scrittrice interessata alla dimensione geopolitica dei processi culturali.

La mostra “fa che sia un racconto” offre un’inedita riflessione individuale e civica sulle difficoltà, i vuoti, le complicità, le manipolazioni e i silenzi che caratterizzano l’atteggiamento dei media e del pubblico attorno all’escalation militare tra Israele, Palestina e Libano, iniziata il 7 ottobre 2023. Di fronte al rischio di assuefazione al dolore e alla brutalità della guerra, il progetto espositivo vuole suscitare interrogativi sull’importanza di difendere il diritto fondamentale alla corretta informazione, mostrando la necessità di disporre della conoscenza dei fatti e riconoscendo situazioni in cui l’informazione è vittima di eufemismi e censure.

Dice Francesca Recchia: «Se il registro primario di “fa che sia un racconto” è quello della fattualità documentaria, il sottotesto è poetico e riflessivo: un’occasione per soffermarsi e mettere a fuoco i valori della solidarietà, della resistenza e del diritto all’autodeterminazione. Da una parte siamo testimoni – a volte passivi, complici o indignati – di una brutalità senza precedenti; dall’altra assistiamo sia al rischio di assuefazione sia di una presa di coscienza delle numerose omissioni da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Giri di parole, disumanizzazione, eufemismi e censure offrono degli scorci ideologici e parziali che mettono in discussione le radici stesse del diritto fondamentale di conoscere i fatti».

Gli spazi dell’ex convento si trasformano in un percorso a episodi, ciascuno dei quali esplora alcuni temi fondamentali del racconto: la documentazione, l’evidenza, la testimonianza e l’idea di Sumud, ovvero di resistenza. La narrazione di ciascun tema è affidata a tracce visive e testuali diverse ma tutte estrapolate da dati di realtà: dalla documentazione fotografica di Lorenzo Tugnoli raccolta a partire da ottobre 2023 tra Palestina e Libano, alle parole utilizzate e ai testi elaborati per definire e regolare le tensioni che scuotono il Medio Oriente.

“fa che sia un racconto” è una mostra che si nutre di essenzialità e che si propone volutamente di essere muta: la scelta per la scrittura espositiva di non costellare il percorso di apparati didascalici, vuole evitare il rischio dell’oggettivizzazione di quanto presentato e di una loro attribuzione museale, impedendo al pubblico di identificarsi con le storie raccontate. Ed è una mostra interamente in bianco e nero: dalle testimonianze visive ai materiali e fonti testuali raccolte, affinché valgano come strumenti cui il visitatore può attingere in una dimensione fortemente esperienziale.

A ispirare il titolo della mostra e ad aprire il percorso espositivo - il cui allestimento è progettato dall’architetto e designer Diego Segatto - sono i versi di una poesia di Refaat Alareer, poeta e intellettuale palestinese, ucciso a Gaza in un raid israeliano all’inizio dell’escalation militare, nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023. La poesia si chiude con «Se dovessi morire, fa che sia un racconto»: monito a non dimenticare e invito a farsi testimoni della storia, verso che in mostra è stampato per esteso su un grande lenzuolo bianco.

Percorso espositivo: tra documentazione, evidenza e resistenza

Il percorso segue una riflessione sugli equilibrismi verbali e le circumnavigazioni dei fatti elaborati dai media al fine non di non prendere posizione, non schierarsi e non nominare colpevoli e vittime. Il visitatore può provare in prima persona a costruire sequenze narrative, con esiti distopici, realistici, faziosi o ideologici, attraverso il lancio di dadi di carta, messi a disposizione di tutti. Ciascuna delle sei facce di ogni dado ha stampate parole che rappresentano un tema: dai modi in cui si fa riferimento all’escalation militare (genocidio, autodifesa, guerra), a tutti gli strumenti di produzione di morte (cecchini, bombe, sassi). Affidandosi alla casualità del lancio dei dadi il visitatore trova una versione diversa e spesso contraddittoria della storia.

La seconda testimonianza che si incontra è la lista dei nomi dei giornalisti uccisi dall’inizio dell’escalation militare, a oggi oltre 200, raccolta attingendo da fonti diverse e a partire dai dati condivisi dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti. I loro nomi, stampati su un lenzuolo di undici metri, risuonano come un monito alla difesa del diritto all’informazione e al sapere, oltre a essere un gesto di memoria collettiva.

Le fotografie di Lorenzo Tugnoli: uno sguardo ravvicinato sull’escalation militare

Avviene quindi il primo incontro con le immagini di Lorenzo Tugnoli, necessarie a costruire un discorso attorno al tema dell’evidenza. Il fotografo, fotoreporter per il Washington Post, lavora in Palestina da oltre dieci anni. Per il progetto “fa che sia un racconto” ha selezionato 40 scatti, qui presentati in grande formato, realizzati da ottobre 2023 all’inizio del 2025, in condizioni molto difficili, che offrono uno sguardo ravvicinato, eppure rispettoso, sugli esiti drammatici dei conflitti, affidando il racconto a paesaggi devastati, alle azioni dei bambini e a momenti di apparente neutralità.

Un videogioco per riflettere sulla narrazione mediatica e il diritto all'informazione

L’unica concessione digitale in mostra è il videogioco The New York Times Simulator, ideato nel 2024 da Molleindustria, avatar del game-designer Paolo Pedercini. È un videogioco satirico che invita a sostituirsi all’editor-in-chief del giornale americano e ad assemblare titoli che attirino i lettori senza però scontentare politici, finanziatori e altre parti in causa. Il gioco si ispira alle teorie del filosofo e attivista Noam Chomsky sulla costruzione del consenso e conduce alla riflessione sul ruolo non imparziale dei media nel racconto dell’escalation di violenza a Gaza.

Nello stato d’eccezione teorizzato da Giorgio Agamben le regole vengono costantemente violate in nome di una reale o presunta emergenza. Allo stesso modo oggi, davanti all’escalation militare in Medio Oriente le istituzioni internazionali sembrano aver perso il loro ruolo guida alla democrazia, per essere al contrario delegittimate e svuotate di senso; così come le decine di documenti redatti a partire dal 1948 sembrano aver perso il loro valore.

In mostra, lungo il corridoio, sono raccolti 140 testi, tra convenzioni e trattati internazionali volti a regolare i rapporti tra Palestina e Israele, per un totale di 36.000 pagine consultabili dal pubblico e disposti a creare un ambiente volutamente labirintico e un passaggio obbligato. Tra i documenti: la Convenzione contro il genocidio e Convenzione dei diritti umani; i tre rapporti di Francesca Albanese, Special Rapporteur per la Palestina, prodotto dall’inizio dell’escalation militare; i report indipendenti di ONG di altissimo profilo come Amnesty International e Medici Senza Frontiere. È l’occasione per prendere consapevolezza di tutte le violazioni dei diritti umani che hanno condotto alla rottura dell’ordine costituito, immaginato dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.

Una parte del progetto espositivo è dedicata al tema della resistenza, rappresentata nella cultura politica palestinese dalla parola Sumud. La mostra racconta il tentativo di difesa delle proprie radici, della propria terra e la determinazione del popolo palestinese a resistere continuando a praticare gesti semplici, come per i bambini andare a scuola. E proprio ai più piccoli è dedicata una sala della mostra, il cui pavimento è ricoperto da 14.000 ciottoli di fiume: uno per ogni bambino rimasto vittima della violenza israeliana e che assumono qui il valore di una memoria da difendere e conservare.

La Fanzine e la sala di lettura 

A conclusione del percorso una sala di lettura offre alla disponibilità del pubblico una bibliografia di titoli essenziali che hanno in parte nutrito la ricerca condotta dalla curatrice Francesca Recchia, e una fanzine che raccoglie in un testo le intenzioni politiche e culturali del progetto. Infine, è presentata una mappa inedita, prodotta da Diego Segatto, frutto della combinazione e della ricerca di fonti diverse, che racconta la frammentazione del territorio Palestinese allo stato attuale, a partire dall’inizio dell’escalation militare il 7 ottobre 2023.

Nel corso di tutta la mostra si incontrano gli inciampi: QRcode esposti a muro che riportano a dei post verificati pubblicati sui social media e che si ricollegano ai temi specifici presentati nelle diverse tappe del percorso di mostra.

Omaya Malaeb per Radio Alhara: dj set live

In occasione della serata inaugurale, giovedì 24 aprile alle ore 20, l’artista libanese Omaya Malaeb si esibisce in un live set, trasmesso in diretta su Radio AlHara (all’indirizzo https://www.radioalhara.net/), piattaforma di ascolto lanciata nel 2020 da un gruppo di amici palestinesi e giordani. Malaeb propone una selezione di suoni che tessono un paesaggio sonoro di musica contemporanea evocativo del territorio medio-orientale, in cui memoria, resistenza e ritmo si intrecciano. Se la mostra si confronta con le difficoltà del linguaggio e le modalità di rappresentazione dell’escalation militare tra Israele, Palestina e Libano, la composizione sonora dell’artista offre un contrappunto ambientale: uno spazio di presenza e risonanza. Anche la musica diventa testimonianza, fluida, affettiva e generativa, e occasione di incontro e riflessione.

La mostra, fortemente voluta dal Coordinamento alla cultura dei Comuni della Bassa Romagna, rappresenta l’evento di punta del programma delle iniziative organizzate in occasione dell’80° della Liberazione dal nazifascismo. È realizzata in collaborazione con l’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Ravenna, con il supporto del Comune di Bagnacavallo, e grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna, di Romagna Acque Società delle Fonti e BCC.

La mostra “fa che sia un racconto”, attraverso un’analisi analogica e multimediale dei vari livelli di fallimento del linguaggio, concede al pubblico la possibilità di costruire da sé la propria narrazione a partire dalle testimonianze visive e testuali presentate, senza pretese di offrire risposte o verità assolute. La mostra si presenta come spazio di informazione onesta, dove poter coltivare lo sguardo critico e continuare a porsi domande, per rimettere al centro il ruolo del pubblico come testimone e della narrazione come necessaria alla storia.

«Se dovessi morire, fa che sia un racconto»

Refaat Alareer

Per ulteriori informazioni, è possibile consultare il sito di Bassa Romagna Mia.

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Ultimo aggiornamento:Lunedì, 28 Aprile 2025